Doveva essere solo una pausa. Un momento tutto mio.
Ero sola nel mio studio, il corpo avvolto nel mio abito a maglia nero — un pezzo unico, aderente, che lasciava intuire tutto e svelava appena il necessario. Le gambe, allungate con eleganza sulla sedia da ufficio, erano fasciate da calze velate nere, sottili come un respiro. Ai piedi, i miei fedeli tacchi a spillo, neri, lucidi, veri strumenti di potere e seduzione.
Come ogni volta che sentivo il bisogno di attenzioni, stavo per chiamarlo: il mio schiavo personale. Il mio devoto. Colui che, senza dire una parola, si inginocchiava e cominciava a massaggiare i miei piedi come fossero un altare sacro.
Solo che, stavolta… ha deciso di non rispondere come al solito.
Silenziosamente, si è materializzato alle mie spalle. Non aveva l’atteggiamento del servitore. I suoi occhi erano diversi. Decisi. Affamati. Aveva lo sguardo del Padrone.
Prima che potessi dire qualcosa, mi ha sussurrato all’orecchio:
«Oggi i ruoli si ribaltano, Dea… oggi sei mia.»
Le sue mani sono scivolate sulle mie caviglie mentre sollevavo lentamente i piedi, facendomi scivolare le scarpe una dopo l’altra. I miei piedi nudi, ancora velati, erano lì, esposti, provocanti. Li ha osservati, quasi in adorazione. Ma non ha ceduto come sempre al desiderio di baciarli e adorarli. No. Ha preso il nastro adesivo e ha cominciato a legarmi alla sedia.
Caviglie serrate. Cosce bloccate. Polsi prigionieri. La sedia da ufficio era diventata il mio trono e la mia gabbia.
«Vediamo quanto resiste la Mia Dea…» ha sussurrato con un sorriso oscuro.
Poi, il ballgag rosso. Spinto tra le mie labbra, stretto dietro la nuca. L’umiliazione del silenzio imposto era inebriante. Il mio respiro si faceva più rapido, più profondo. I capezzoli duri sotto l’abito nero. La figa, umida. Calda. Pronta.
Ma non era finita.
Mi ha sdraiata, ancora legata alla sedia, in una posizione da cui non potevo fuggire. Nastro avana sulle labbra, più ruvido, più stretto. E poi, come un sigillo finale, il wand vibrante, fissato con cura sulla mia fessura palpitante.
Non potevo muovermi. Non potevo parlare. Solo mugolare, ansimare, godere — sotto il suo sguardo.
La vibrazione ha cominciato a pulsare in me come una marea rovente. Quando stavo per cedere all’orgasmo, lui lo sapeva. Lo sentiva. E lo spegneva.
Mi ha negato. Mi ha lasciata lì, sul bordo del piacere, impiccata all’agonia del quasi. Ogni fibra del mio corpo urlava. Volevo implorare. Volevo venire.
«Verrai solo quando lo decido io» ha detto, accarezzandomi e baciandomi il viso.
Ed è stato solo allora, al quarto picco interrotto, che ha lasciato il wand vibrare senza sosta, mentre sussurrava:
«Adesso sì. Ora puoi. Fammi vedere come gode una Dea… quando è completamente Mia.»
E io ho goduto. Forte. Lunga. Incontrollabile.
Sottomessa. Legata. Posseduta. Perchè Lui è Lui..
E perchè è grazie a lui che anni fa ho scoperto queste "sfumature" e sono diventata una Padrona, che ha maturato le varie dinamiche del bondage e della dominazione anche attraverso l' esperienza in prima persona.