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lunedì 24 marzo 2025

Miss Sanny – Il Trionfo della Dea del Nylon - Parte 2

 

La seconda parte: La Consacrazione di Lucrezia

L’auto scivolava silenziosa nel buio della notte, il motore sussurrava come un complice discreto di ciò che stava accadendo sul sedile posteriore. Todo guidava senza una parola, con la consapevolezza di chi non ha bisogno di chiedere, di chi sa che dietro di lui si stava compiendo qualcosa di sacro.

Lucrezia era in ginocchio, con la fronte abbassata, il respiro affannato e il cuore che batteva furioso nel petto. La catena del collare, ancora stretta tra le dita di Miss Sanny, era il confine invisibile che separava la sua vecchia esistenza da quella nuova. Un simbolo. Una condanna. Un destino.

Il momento della verità

Miss Sanny la osservava con un sorriso enigmatico. Con la punta delle dita, fece scorrere la catena tra i polpastrelli, facendo tintinnare il metallo nell’abitacolo. Lucrezia rabbrividì. Ogni suono, ogni gesto della Dea la faceva sprofondare sempre più nella consapevolezza di ciò che era diventata.

Con un leggero strattone, Miss Sanny la fece sollevare il viso. I loro sguardi si incrociarono, e in quell’istante Lucrezia capì che non c’era più via di fuga.

La sua Padrona inclinò leggermente il capo, il sorriso appena accennato.

"Hai ancora paura?"

Lucrezia deglutì. Sentiva il desiderio farsi strada nel suo corpo come un veleno dolce e irresistibile. Non era paura. Non più.

"No, Miss… Io… Io voglio appartenerti." La sua voce era un sussurro tremante, carico di riverenza.

Miss Sanny le accarezzò la guancia con la punta della scarpa. Il nylon delle sue calze sfiorò la pelle arrossata della schiava, inviando brividi lungo la sua spina dorsale.

"Dimostramelo." La voce della Dea era un ordine sottile, un invito velenoso al quale non si poteva dire di no.

Lucrezia si sporse in avanti, le mani tremanti mentre sfioravano le caviglie della sua Padrona. Il contatto con il nylon finissimo era un’esperienza mistica, un passaggio obbligato per chi sceglieva la sottomissione assoluta.

Le sue labbra si posarono sul tessuto teso sopra la pelle calda di Miss Sanny. Un bacio. Poi un altro. E un altro ancora.

Era la sua consacrazione.

Il giuramento della schiava

Miss Sanny sollevò lentamente una gamba, poggiando la suola della scarpa sulla spalla della sua nuova proprietà, spingendola leggermente verso il basso.

Lucrezia si lasciò guidare, la fronte ora poggiata sul pavimento dell’auto.

"Ripeti dopo di me." La voce della Dea era calma, ma non ammetteva esitazioni.

Lucrezia chiuse gli occhi, pronta a pronunciare il giuramento che l’avrebbe legata per sempre.

"Io, Lucrezia, rinuncio a me stessa…"
"Io, Lucrezia, rinuncio a me stessa…" ripeté in un sussurro, sentendo il respiro mozzarsi per l’emozione.

"Non ho più volontà, non ho più orgoglio, non ho più nome…"
"Non ho più volontà, non ho più orgoglio, non ho più nome…"

"Sono solo tua. Sono tua proprietà. Sono tua schiava."
"Sono solo tua. Sono tua proprietà. Sono tua schiava."

Miss Sanny sorrise compiaciuta. Con un leggero strattone, fece scivolare la catena tra le dita e lasciò che il metallo tintinnasse dolcemente.

"Ora sì, ora sei mia."

Lucrezia sollevò lo sguardo, la devozione scolpita nei suoi occhi. Non c’era più alcuna resistenza. Non c’era più alcuna ribellione.

C’era solo una nuova certezza.

Era stata posseduta, conquistata.

E, nel profondo, era esattamente ciò che aveva sempre desiderato.

L’arrivo alla villa

L’auto rallentò, fermandosi di fronte all’ingresso di una villa immersa nell’ombra della notte. Todo spense il motore, ma non si voltò. Sapeva che la sua Padrona non aveva ancora finito.

Miss Sanny si prese tutto il tempo. Scese con grazia, i suoi tacchi risuonarono sul selciato.

Poi, senza voltarsi, tirò leggermente la catena.

Un solo comando.

"Vieni."

Lucrezia la seguì.

Perché non c’era altro posto al mondo dove potesse stare.

Il suono ritmico dei tacchi di Miss Sanny risuonava nel silenzio, scandendo il tempo, annunciando il suo ingresso. Dietro di lei, con la testa china e il collare ben saldo intorno al collo, Lucrezia la seguiva, la catena della sua sottomissione ancora tra le dita affusolate della Dea.

La servitù era già in fila ad aspettarla.

Donne e uomini vestiti in abiti impeccabili, silenziosi, disciplinati. Sapevano cosa significava servire la Dea Velata. Sapevano che in quella casa non esistevano compromessi, solo il volere della loro Padrona.

Miss Sanny si fermò in mezzo al salone, lasciando che la sua presenza dominasse l’ambiente. Poi tirò la catena con grazia imperiosa, costringendo Lucrezia ad inginocchiarsi accanto a lei.

“Questa è la mia nuova schiava.” La sua voce era ferma, ma con una nota di morbida crudeltà. “Una ex Mistress che ha creduto di poter competere con me. Ora è qui, al suo posto. Ed è giusto che impari subito cosa significa appartenere.”

Uno scambio di sguardi tra la servitù, una tensione che aleggiava nell’aria. Lucrezia tremava leggermente, ma non osava alzare lo sguardo.

Miss Sanny fece un cenno, e una delle sue ancelle le porse un frustino nero in cuoio. Il manico era rivestito di velluto, elegante, letale.

“Tu hai osato sfidarmi, Lucrezia.”

Un colpo secco.

La punta del frustino sibilò nell’aria prima di colpire la pelle nuda della schiava, strappandole un gemito soffocato.

Un altro colpo.

E un altro ancora.

Lucrezia si piegò in avanti, il respiro spezzato dall’impatto, ma non si mosse. Ogni frustata era una lezione incisa nella sua carne, una conferma della sua nuova posizione.

Miss Sanny si fermò un istante. Con la punta della scarpa, sollevò il mento della sua schiava, costringendola a guardarla negli occhi.

“Ringraziami.”

Lucrezia ansimava, il viso arrossato, gli occhi lucidi. La sua voce tremava, ma trovò il coraggio di pronunciare le uniche parole che contavano in quel momento.

“Grazie, Miss.”

Un sorriso compiaciuto sfiorò le labbra della Dea. Fece un altro cenno, e la servitù si sciolse, tornando ai loro doveri senza una parola. La dimostrazione era stata chiara. Il messaggio, indelebile.

Ma la lezione non era finita.

Miss Sanny si voltò, facendo tintinnare la catena mentre si dirigeva verso una porta laterale della villa.

“Seguimi.”

Lucrezia si rialzò a fatica, seguendo la sua Padrona in un ambiente più intimo, una stanza arredata con gusto raffinato: velluto scuro, candele profumate, un grande specchio che rifletteva ogni dettaglio.

La Dea Velata si fermò davanti allo specchio, lasciando che Lucrezia si inginocchiasse ai suoi piedi.

“Guarda.”

Lucrezia sollevò lo sguardo.

Nel riflesso, Miss Sanny appariva in tutta la sua magnificenza. Il suo abito scivolava sensuale lungo il suo corpo perfetto, il raso accarezzava le curve con eleganza divina. Le sue calze di nylon brillavano nella luce soffusa, esaltando la perfezione delle sue gambe. Il reggicalze a sei bretelle era la firma del suo potere femminile assoluto.

“Sai cosa significa essere mia schiava, Lucrezia?”

La voce di Miss Sanny era un sussurro ipnotico.

“Significa che io sono il tuo universo. Significa che il tuo respiro dipende dal mio volere. Significa che la tua adorazione non è un’opzione, ma una necessità.”

Lucrezia annuì, completamente soggiogata.

Miss Sanny si sedette su un trono di velluto scarlatto, incrociando le gambe con una grazia sovrana. Poi, con un movimento lento e intenzionale, fece scivolare la suola di una delle sue Louboutin sulla guancia della sua schiava.

“Mostrami la tua devozione.”

Lucrezia non esitò.

Si chinò, le labbra che sfioravano con reverenza il nylon finissimo che avvolgeva il piede della sua Padrona.

Miss Sanny sorrise, lasciando che il momento si prolungasse, che la nuova realtà di Lucrezia si radicasse nel profondo della sua anima.

Poi, con un leggero movimento della caviglia, fece scivolare la scarpa dal piede, rivelando il suo arto perfetto avvolto nel nylon sottile.

“Ora, Lucrezia…”

Un ultimo comando.

“Adorami.”

E in quell’istante, nella penombra della stanza, Lucrezia capì che non c’era più alcun confine tra lei e il suo destino.

Era proprietà della Dea Velata.

Per sempre.

La Cena della Dea: Il Vino, il Nylon e la Prigionia di Lucrezia

La sala da pranzo era illuminata da un enorme lampadario di cristallo, che rifletteva giochi di luce sulle pareti decorate con eleganza. Un lungo tavolo di mogano troneggiava al centro della stanza, apparecchiato con piatti di porcellana finissima, posate d’argento e calici di cristallo colmi di Donnafugata Rosso, il vino scuro e intenso che brillava sotto la luce dorata.

Miss Sanny sedeva al capotavola, perfettamente composta, la sua silhouette esaltata dal vestito di raso nero che aderiva come una seconda pelle. Il nylon delle sue calze brillava appena sotto la luce calda, le gambe elegantemente incrociate, il reggicalze a sei bretelle ben saldo a mantenerne la tensione perfetta.

Ai suoi piedi, nascosta sotto il tavolo, Lucrezia.

Non per sua scelta.

Non più.

Todo Meo, impeccabile nel suo ruolo di servitore, entrò nella sala con passo misurato, posando con cura i piatti davanti alla Dea. La osservava con rispetto e devozione, attento a ogni dettaglio, consapevole che ogni gesto in quella stanza doveva rispondere a un ordine silenzioso: il volere assoluto di Miss Sanny.

Lei sollevò il calice di Donnafugata, portandolo alle labbra con grazia suprema, assaporando il vino lentamente. Poi abbassò lo sguardo sotto il tavolo.

Un leggero movimento delle dita.

Un comando silenzioso.

Lucrezia si avvicinò ancora di più, la sua posizione già precaria sotto la lunga tovaglia che la nascondeva alla vista di Todo Meo. Il cuore le batteva forte, il respiro caldo sulle cosce di Miss Sanny, il nylon delle calze un confine sottile tra il suo viso e il potere della Dea.

Sapeva cosa doveva fare.

Un bacio leggero.

Un respiro profondo.

L’odore di Miss Sanny la avvolse completamente, pungente, ipnotico, inebriante. Era un’essenza di dominio, un aroma che la lasciava senza via di scampo, la catena invisibile che la teneva stretta alla volontà della sua Padrona.

Miss Sanny sorrise appena, portando una forchetta alle labbra, godendo del cibo, del vino, del piacere della supremazia.

Sotto il tavolo, Lucrezia ansimava. Il suo viso premuto con forza contro le cosce della Dea, il nylon che la avvolgeva, il profumo che si faceva più intenso.

Le sue mani tremavano.

Il respiro si faceva più corto.

Si sentiva soffocare.

L’odore di Miss Sanny era ovunque, la stava invadendo, possedendo completamente.

Un brivido di panico la attraversò.

Non riusciva a muoversi.

La pressione sulle sue guance aumentava. Miss Sanny la teneva lì, prigioniera tra le sue cosce, senza possibilità di fuga.

Todo Meo la osservò per un istante, il sudore che gli imperlava la fronte.

Per un secondo, un pensiero folle attraversò la sua mente.

E se la stesse soffocando?

Ma non osò intervenire.

Miss Sanny si limitò a sorseggiare il suo Donnafugata Rosso con un sorriso appena accennato, perfettamente consapevole della lotta silenziosa che avveniva sotto il tavolo.

Poi, con un leggero movimento della gamba, lasciò andare Lucrezia, che crollò contro di lei, ansimando.

Un sospiro tremante, un sussurro appena udibile:

“Grazie, Miss.”

Miss Sanny sorrise.

Sollevò la mano e accarezzò con grazia i capelli di Lucrezia, ancora nascosta sotto il tavolo, ancora inebriata dal suo dominio.

“Brava.”

Poi sollevò lo sguardo verso Todo Meo, che abbassò immediatamente la testa, intimorito.

“Portami un altro calice di Donnafugata, Todo Meo. Questa serata è appena iniziata.”

Il servitore annuì in fretta, lasciando la stanza con il cuore che batteva forte.

Miss Sanny si rilassò sulla sedia, incrociando nuovamente le gambe, lasciando che Lucrezia rimanesse al suo posto.

Quella era la sua nuova realtà.

Quella era la sua prigionia.

E non ci sarebbe mai stata una via d’uscita.

L’Accettazione di Lucrezia: La Riflessione della Schiava

Il respiro di Lucrezia era ancora affannato mentre rimaneva inginocchiata ai piedi della sua Dea, la fronte abbassata, il corpo ancora tremante per l’intensità di ciò che aveva appena vissuto.

L’odore di Miss Sanny le impregnava i sensi, il nylon delle sue calze le aveva accarezzato il viso come un marchio silenzioso, un sigillo indelebile che l’aveva segnata nel profondo.

Non era più solo un gioco.

Non era più una prova di forza.

Era appartenenza.

Il collare che stringeva il suo collo non era più solo un accessorio. Era una verità assoluta, un simbolo che parlava più forte di qualsiasi parola.

Lucrezia comprese in quell’istante che non c’era più una "lei".
Non esisteva più la dominatrice sicura di sé, quella che un tempo si vantava del proprio potere.

Miss Sanny l’aveva distrutta.

O meglio, l’aveva ricreata.

Ora esisteva solo come parte di Lei.

Come una creazione della sua Dea.

La supremazia di Miss Sanny non era fatta di catene.
Non aveva bisogno di costrizioni fisiche per mantenere il controllo.

Era una forza più profonda. Un dominio che si insinuava nell’anima, fino a cancellare ogni volontà.

Lucrezia lo sentì dentro di sé come un brivido.

Non aveva più desideri suoi.

Non aveva più pensieri propri.

Non aveva più volontà.

Aveva solo Lei.

Miss Sanny era la sua unica ragione d’essere.

Con le mani tremanti, Lucrezia sfiorò il collare che portava al collo. Un gesto istintivo, quasi un riflesso.

Era un segno di possesso.

Ma, paradossalmente, era anche la sua libertà.

Perché non c’era più scelta, non c’era più conflitto.

Solo una verità assoluta: lei apparteneva a Miss Sanny.

E per la prima volta, lo accettò completamente.

Lo desiderò.

Lo abbracciò.

Sollevò appena lo sguardo verso la sua Padrona, le labbra che sfiorarono la seta del nylon con una riverenza naturale, come se fosse la cosa più normale al mondo.

Miss Sanny non si scompose.

Si limitò a sorseggiare il suo Donnafugata Rosso, lasciando che la consapevolezza si radicasse in ogni fibra della sua nuova proprietà.

Lucrezia chiuse gli occhi.

Non esisteva più nulla oltre a Lei.

E questo pensiero la fece sentire finalmente… completa.

Il Giro della Villa: La Supremazia Incontestabile della Dea

L’alba filtrava appena dalle alte vetrate della villa, ma all’interno regnava ancora la penombra dorata della notte appena trascorsa. Miss Sanny, vestita di nero e oro, con un soprabito in velluto e le Louboutin ai piedi, teneva il guinzaglio con la consueta naturalezza imperiale.

All’estremità del guinzaglio, Lucrezia, in ginocchio, il collare ben stretto al collo, la testa bassa in segno di completa resa. Il passo della Dea era lento, misurato, ogni movimento carico di significato. Era il momento del giro della proprietà, e Lucrezia avrebbe visto fino in fondo il regno a cui ora apparteneva.

La servitù osservava in silenzio, molti con sguardi di timore, altri con riverente devozione.

Attraversarono i corridoi della villa, il salone, la galleria delle Dee passate — fotografie in cornici dorate di altre schiave, altre regine domate da Miss Sanny — fino a giungere in fondo a una scala a chiocciola in ferro battuto, che scendeva nei meandri della villa.

Le carceri sotterranee.

Miss Sanny si fermò un istante prima di scendere. Fece un cenno a Todo Meo, che aprì il cancello di ferro.

L’aria cambiò: più umida, più cupa. L’odore del cuoio, del metallo, della punizione impregnava le pareti.

Le celle erano ordinate, pulite, ma cariche di un’energia tesa. Dentro alcune, schiavi inginocchiati, immobili. Altri con gli occhi bassi, in silenzio. Nessuno osava parlare. Nessuno osava guardare la Dea.

Lucrezia rabbrividì.

Miss Sanny si fermò di fronte a una cella in particolare.

Dietro le sbarre, un uomo. Max.
Il suo sguardo era ancora orgoglioso, lo sguardo di chi lotta per non arrendersi. Ma le catene alle sue caviglie e ai suoi polsi raccontavano un’altra storia.

"Max…" disse Miss Sanny, il tono della sua voce incredibilmente calmo, ma carico di potere.
"Quante volte dovrò ricordarti che qui comanda solo una persona?"

Max serrò la mascella. Non rispose.

"Vedi, Lucrezia?" proseguì Miss Sanny, tirando appena il guinzaglio della sua nuova schiava.
"Questo è ciò che accade a chi si illude di poter resistere alla mia volontà."

Fece un gesto.

Todo Meo aprì la cella.

Max non si mosse. Il suo respiro si fece più rapido.

Miss Sanny entrò.
Non con rabbia, non con forza. Ma con la grazia letale di chi sa di essere l’unica autorità.

Si mise dietro di lui, sfiorò il suo mento, lo costrinse ad alzare lo sguardo.

"Vuoi ancora combattere?"

Max tremava, ma non rispondeva.

Miss Sanny si voltò verso Lucrezia.

"Vieni. Osserva."

Lucrezia entrò nella cella con passi esitanti, inginocchiata, il guinzaglio che strusciava sul pavimento.

Miss Sanny afferrò il volto di Max e lo avvicinò alle sue gambe.

"Vuoi sapere cosa significa vera umiliazione?"

Poi sollevò leggermente la gonna del suo abito. Le calze di nylon brillavano nella luce fredda della cella.

Con un solo gesto, spinse il volto di Max contro di sé.

"Tu puoi combattere quanto vuoi, ma finirai come tutti gli altri. A respirare la mia volontà. A imparare cosa significa essere niente al cospetto di una Dea."

Max resistette per pochi istanti. Poi… si spezzò.

Le sue spalle cedettero. Il suo respiro si fece lento. Le sue labbra si posarono contro la seta sottile del nylon.

"Brava, Lucrezia," sussurrò Miss Sanny, guardandola senza voltarsi.
"Ricorda: chi tenta di resistermi... finisce sempre ai miei piedi."

La cella si richiuse. Max rimase lì, inginocchiato, completamente piegato.

Miss Sanny risalì le scale, la catena di Lucrezia che tintinnava con ogni passo.

Il dominio non si discute. Si dimostra.

E Miss Sanny, ancora una volta, l’aveva fatto.

Le Gabbie della Dea: La Punizione Suprema

Miss Sanny avanzava con la consueta grazia sovrana, il guinzaglio di Lucrezia stretto tra le dita, ogni suo passo era un battito di supremazia assoluta. Lucrezia la seguiva in ginocchio, il collare che stringeva il collo come un sigillo, un promemoria della sua nuova esistenza.

Dopo la dimostrazione di potere su Max, la Dea decise di completare il giro nei sotterranei della villa.

Si fermò davanti a un'altra porta di ferro massiccio, incastonata nella pietra fredda e illuminata solo da torce tremolanti lungo il corridoio.

"Lucrezia, è tempo che tu veda il cuore del mio dominio."

Con un cenno della mano, Todo Meo si affrettò ad aprire il pesante portone.

L’aria all’interno era più densa, più calda, carica di un’energia di assoluta sottomissione. Il suono delle catene tintinnava leggero nell’ombra, mescolandosi ai respiri spezzati e ai sussurri di chi aspettava, nel buio, di essere riportato al cospetto della loro Dea.

Le gabbie.

File ordinate di celle strette, con sbarre in ferro battuto e pavimenti di pietra levigata dal tempo e dalla sofferenza. Ogni gabbia era grande appena per permettere agli occupanti di inginocchiarsi, rannicchiarsi su se stessi o, nel migliore dei casi, restare a quattro zampe. Non c'era spazio per stare in piedi. Non c'era bisogno di stare in piedi.

Alcuni schiavi erano incatenati direttamente alle pareti con collari di ferro e lunghi ganci di acciaio, lasciati sospesi in una posizione di attesa costante. Altri erano bendati, privati della vista, ridotti a un’esistenza fatta solo di silenzio e obbedienza.

Il legno consumato delle porte di alcune celle portava ancora i segni delle unghie, tracce di una ribellione ormai estinta, testimoni di chi, prima di cedere completamente, aveva provato a resistere.

Miss Sanny si muoveva lentamente, il tintinnio del guinzaglio di Lucrezia echeggiava nella sala sotterranea come un inno al dominio.

Ogni passo della Dea era una sentenza, ogni sguardo una condanna silenziosa.

Le gabbie erano piene. Piene di falliti, di ribelli domati, di uomini e donne che avevano osato dimenticare a chi appartenevano.

Lucrezia deglutì.

Sentì la paura insinuarsi nelle vene come un veleno dolce e sottile.

Era quello il destino di chi falliva? Era quello il destino di chi osava dimenticare di essere proprietà di Miss Sanny?

Miss Sanny si fermò davanti a una delle gabbie più piccole.

All'interno, rannicchiato in un angolo, uno schiavo punito. Il suo corpo era segnato da lividi, il fiato corto, le mani che stringevano le sbarre con un misto di disperazione e desiderio. Il suo collare era collegato a una corta catena, impedendogli qualsiasi movimento, il capo chino in segno di assoluta sottomissione.

Ma quando la Dea si fermò davanti a lui, lo schiavo sollevò appena lo sguardo.

"Dimmi, Umberto …" sussurrò Miss Sanny con un sorriso crudele. "Hai cambiato idea?"

Lo schiavo impiegò qualche secondo prima di rispondere. La sua voce era rotta, spezzata dall’orgoglio piegato, dalla resistenza annientata.

"Io… io vi appartengo, Miss… Io sono Vostro."

Miss Sanny rise piano. "Finalmente lo hai capito."

Fece un segno a Todo Meo, che aprì la serratura con un clangore metallico.

Umberto scivolò fuori dalla gabbia, strisciando sulle ginocchia, gli occhi abbassati, il respiro corto.

Miss Sanny lo osservò per un istante, poi sollevò la gamba, posando la suola verniciata delle sue Louboutin sul petto dello schiavo, schiacciandolo leggermente.

"Leccala."

Umberto obbedì senza esitazione.

Ogni resistenza, ogni pensiero di ribellione era stato spezzato.

Ogni altra vita, ogni altra volontà non esisteva più per lui.

La Dea gli aveva tolto tutto. E gli aveva dato una nuova esistenza.

Lucrezia trattenne il fiato.

Era la dimostrazione perfetta.

La trasformazione completa.

Non c’era più nulla di umano nello sguardo di Umberto. Solo dedizione, sottomissione, puro annullamento.

Miss Sanny lo guardò per qualche istante, poi riportò l’attenzione su Lucrezia.

"Ricorda bene ciò che hai visto oggi. Ricorda ciò che accade a chi si illude di avere una volontà propria."

Lucrezia abbassò lo sguardo.

Non aveva bisogno di parole.

Lei aveva già capito tutto.

Non c’era più alternativa.

Non c’era più libertà.

C’era solo Miss Sanny.

E ora lo sapeva con certezza.

Se mai avesse osato deluderla…

Se mai avesse osato tradire la sua Dea…

La prossima gabbia sarebbe stata per lei.

La Notte della Dea: Il Trono di Supremazia

La villa era immersa in un silenzio assoluto, rotto solo dal suono ritmico della pioggia che batteva leggera contro le ampie finestre. La stanza di Miss Sanny era un tempio di lusso e dominio: tende pesanti color borgogna, un grande letto a baldacchino con lenzuola di seta nera e profumo di cuoio, ambra e legno di sandalo nell’aria.

Al centro di quel regno, Lei, la Dea Velata.

Miss Sanny era distesa con suprema eleganza, avvolta in un negligé di seta nera, che scivolava appena sulle sue forme perfette. Le sue calze di nylon velato risplendevano sotto la luce soffusa, come un’armatura eterea e ineluttabile.

Accanto al letto, Todo Meo, il servitore più fedele, inginocchiato. Non si muoveva, non osava respirare più del necessario. Il suo ruolo era chiaro: essere il Suo scendiletto. La sua schiena era tesa, i palmi piatti contro il pavimento. Sopra di lui, la punta della Louboutin di Miss Sanny sfiorava la sua pelle, ogni tanto premendo, come un monito, come un marchio silenzioso della sua eterna subordinazione.

Ai piedi del letto, Lucrezia, l’ex Miss, ora la Sua schiava.

La nuova realtà di Lucrezia si era radicata profondamente. Il collare ancora stretto al collo, il suo corpo rannicchiato vicino alle caviglie della sua Padrona, il viso sollevato in adorazione.

Era lì per servire. Per onorare.

Miss Sanny si sollevò leggermente, il suo sguardo di suprema indifferenza scivolò su di lei. Poi, con un gesto lento e studiato, sfilò una delle sue calze di nylon.

La stoffa scivolò via dalle sue gambe con un fruscio sensuale, rivelando la pelle di porcellana sottostante. La calza rimase tra le sue dita sottili, sospesa per un attimo nell’aria come un vessillo di potere.

Poi, senza dire una parola, Miss Sanny portò la calza alla propria bocca.

Le sue labbra perfette si posarono sul tessuto sottile, assaporandone la trama, il gusto leggermente salato della giornata, la prova tangibile della sua femminilità assoluta.

Lucrezia trattenne il fiato. Era ipnotizzata.

Quella scena, così semplice e perfetta, era la dimostrazione più assoluta del dominio della Dea. Il suo stesso odore, il suo stesso nylon, era qualcosa da venerare.

Poi Miss Sanny abbassò lo sguardo su Lucrezia.

Le fece segno con un dito.

Lucrezia strisciò in avanti, tremante, senza osare spezzare il contatto visivo.

Con una lentezza infinita, Miss Sanny porse la calza a Lucrezia.

"Assapora."

Lucrezia obbedì.

Prese il nylon tra le labbra, chiudendo gli occhi, lasciando che il sapore, la consistenza, l’essenza della Dea si imprimessero nella sua mente per sempre.

Non c’era nulla di più sacro.

Non c’era nulla di più definitivo.

Todo Meo rimase immobile, sotto il peso della sua Padrona, sapendo di essere il gradino su cui lei riposava.

E mentre la notte avvolgeva la villa, la Dea si rilassò nel suo letto, soddisfatta, consapevole che il suo potere si era radicato ancora più a fondo nelle loro anime.

 

alcuni scatti di me in azione.. 









Il Velo della Miss

Sottile velo che sfiora il cielo,
su gambe regali dipinge il suo zelo.

Nylon che avvolge, che scalda e che stringe,
carezza divina che il cuore dipinge.

Brilla alla luce, riflette il bagliore,
sigillo supremo d’eterno splendore.

Scivola lieve su pelle sovrana,
marchia chi osa con fiamma lontana.

Non è un tessuto, ma un’arte immortale,
un filo di grazia, un tocco letale.

Miss Sanny lo porta con tale fierezza,
che ogni ginocchio si piega in purezza.

                                      Erry Granduca



2 commenti:

  1. Bellissimo racconto, esaltazione della bellezza e del potere femminili, nonché del fascino che certi caratteri possono infondere.

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